Il fantasy storico. Il primo fra tutti i generi. La storia nascosta nei miti . Parte 4

Tra 12800 e 11600 anni fa, il nostro pianeta fu sconvolto da un cataclisma devastante di proporzioni globali. Dal 2007 le testimonianze scientifiche lo confermano, spazzando via ogni tipo di dubbio.

Compaiono nel prestigioso proceedings of the national academy of Sciences il 9 ottobre del 2007. Gli autori descrivono un’onda d’urto devastante e di altissima temperatura che provocò un picco di sovrappressione, seguito da un’onda di pressione negative, e diede luogo a venti intensi che spazzarono via il Nord America viaggiando a centinaia di chilometri orari, accompagnati da potenti vortici generati all’impatto. In aggiunta, sia che la collisione sia avvenuta a opera di un solo oggetto sia che gli impatti siano stati molteplici, una sfera di fuoco avrebbe saturato la regione vicina agli impatti… A distanze maggiori il rientro in atmosfera ad altissima velocità del materiale surriscaldato espulso al momento dell’impatto avrebbe provocato enormi incendi che avrebbero decimato foreste e praterie, distruggendo le riserve di cibo degli erbivori e producendo carbone, fuliggine, fumi tossici e cenere.

Gobekli Tepe è il più antico esempio di monumento trovato ad oggi nel mondo. Si trova in Turchia e vi sono raffigurati uccelli dal lungo becco falciforme, dischi solari e borsette, borsette come quella rappresentata da Quetzalcoatl, che non è una divinità turca, bensì centroamericana, il cui nome ha il significato di “serpente piumato”.

Se non ci fosse altro, si potrebbe parlare di coincidenze, ma Oannes, eroe civilizzatore venerato in Mesopotamia, si dice che abbia trasmesso agli abitanti la scrittura, la matematica e per ogni genere di sapere come costruire città, fondare templi, determinare i confini e dividere la terra. Ce lo racconta Berosso, nel terzo secolo A.C. nella sua “Babiloniaka”.

Oannes non era da solo, ma era a capo di un gruppo chiamato “i sette Apkallu”, cioè i sette sapienti, il più delle volte raffigurati come uomini barbuti con in mano borsette, uguali a quelli raffigurati a Gobekli Tepe, e a quello retto dal serpente piumato… in Messico, sette come i saggi indiani che tramandarono la sapienza di Shiva di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente.

In Cina gli uomini del cielo con faccia umana e corpo di dragone; il dragone rappresentando la sapienza divina o spirito, crearono gli uomini incarnardo se stessi in sette figure di argilla e costruirono le sette piramidi della città di Sian-Fu.

Il processo di incarnazione è proprio anche degli aesir dell’Edda scandinava.

Una leggenda che è ripetuta parola per parola dalle più antiche tribù nei pressi dell’Eufrate: gli uomini furono creati dai “Figli di Dio”, che discesero sulla Terra, e dopo aver raccolto sette, sette il numero ricorrente a livello planetario, ne animarono le radici, che immediatamente diventarono uomini.

Sette sembra essere stato il numero sacro per eccellenza tra tutte le nazioni civili dell’antichità. Perchè? Questa domanda non ha mai avuto una risposta soddisfacente. Ogni popolo ha dato una spiegazione diversa, secondo i principi particolari della sua religione. Che fosse il numero dei numeri per gli iniziati ai sacri misteri non c’è dubbio. Pitagora lo chiama il “Veicolo di vita” che contiene corpo e anima.

Conoscendo i testi antichi dell’India, il libro dei morti, le tavole assire e la Bibbia, vediamo un costante ricorrere del numero sette.

Lo si incontra frequentemente nel Popol Vuh, il libro sacro degli antichi maya, Lo ritroviamo nelle sette famiglie che accompagnarono il personaggio mistico chiamato Votan, il presunto fondatore della città di Palenque, nelle sette grotte da cui si dice che siano emersi gli antenati dei Nahuatls, nelle sette città di Cibola.

Il numero sette si ritrova anche nelle storie del diluvio, dai sette Rishi salvati dal Vaivasta indiano Manu, fino all’arca di Noè ove bestie e volatili furono raccolti a gruppi di sette.

Ma non è tutto.

Quetzacoatl giunse in Messico “da Atzlan, un luogo al di là del mare su una barca che si muoveva da sola, senza l’ausilio di remi, con la propria confraternita di saggi e stregoni”. Quetzalcoatl era colui che aveva fondato la città, redatto le leggi e insegnato il calendario, l’agricoltura e una religione che promuoveva la pace.

Continenti diversi.

Stessi colonizzatori.

Come gli angeli di Enoch.

Come gli dei (theoi) de l’Iliade.

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Significa che un popolo tuttora sconosciuto e non identificato proveniente da una zona non specificata del pianeta era già padrone di tutte le tecniche di una civiltà avanzata più di dodicimila anni fa e aveva inviato i propri emissari in tutto il mondo all’epoca di un grande cataclisma.

Circa nel 9600 A.C. Proprio quando Atlantide fu distrutta.

Altra prova schiacciante sono i più di duemila miti sul diluvio giunti fino a noi sono estremamente simili su molti aspetti, in particolare uno: il cataclisma non fu casuale, ma causato da noi stessi, con le nostre azioni, la nostra arroganza, il frastuono dei conflitti, la nostra malvagità, la nostra crudeltà e il nostro orgoglio.

Smettemmo di coltivare la spiritualità e ci dedicammo al mero materialismo e non guardavamo più il cosmo e il mondo con timore riverenziale.

Prima di questa data il livello del mare era di 122 metri più basso di quello attuale.

Ampie calotte glaciali ricoprivano gran parte dell’Europa e del Nord America e quando tutta l’acqua accumulata si riversò negli oceani sommerse gran parte delle lande abitate dall’uomo.

Il professor Robert Schoch, in una sua tesi basata su rigorose prove geologiche, dimostra che la Grande sfinge di Giza mostri segni di erosione lasciati da migliaia di anni di piogge.

Piogge.

Quindi risale obbligatoriamente a un’epoca molto più antica di quattromila anni fa, attorno alla fine dell’era glaciale, quando l’Egitto era colpito ancora da intense precipitazioni.

Che cosa accade? Quale fu il fatto scatenante che portò i colonizzatori a fuggire dalla loro terra d’origine?

“La stella dalla lunga e ampia coda distruggerà un giorno il mondo quando scenderà di nuovo. È la cometa chiamata stella dalla lunga coda che si innalza nel cielo. È venuta quaggiù una volta, migliaia di anni fa. La sua coda irradiava un calore bruciante e una luce accecante.

La cometa bruciò e rase al suolo ogni cosa. Non rimase più nulla. I nativi erano qui prima che ciò accadesse, vivevano sulla terra, ma le cose non andavano bene; molti avevano abbandonato il cammino spirituale. Il grande spirito li avvisò molto prima che la cometa arrivasse.

Poi la cometa arrivò. Volò così basso che la sua coda incendiò la terra. La cometa rese diverso il mondo. Dopo sopravvivere fu molto difficile. Il clima era più freddo di prima.”

La popolazione nativa americana degli Ojibwa parla chiaramente di un meteorite che causò “un clima più freddo”, quindi una glaciazione che appare anche in un mito di distruzione dei Quileute:

“Per giorni e giorni imperversarono potenti tempeste. Sulla terra caddero la pioggia e la grandine, poi nevischio e neve. I chicchi di grandine erano così grandi che molti rimasero uccisi… Il ghiaccio stringeva in una morsa i fiumi così che gli uomini non potevano pescare.”

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Il meteorite cadde 12800 anni fa, proprio quando il pianeta sembrava essere entrato in una fase di riscaldamento, e portò la glaciazione, che terminò in modo altrettanto repentino nel 9600 A.C.

L’impatto cometario disperse un sacco di materia nell’aria, oscurando il sole e rendendo freddo il clima.

I livelli di detriti sono presenti presso il sito archeologico di Gainey, in Michigan e decrescono man mano che ci si allontana da Gainey, indicando che la cometa bruciò prevalentemente al di sopra del Canada.

L’archeologo Graham Hancock, nel suo “Il ritorno degli dei” ipotizza che Giza fosse uno dei molti siti del mondo dove i sopravvissuti di una grande civiltà preistorica quasi distrutta dal cataclisma, scelsero di stabilirsi e diedero il via a un progetto allo scopo di riportare in vita il loro antico mondo.

I testi di Edfu parlano della patria dei Primordiali, un’isola la cui ubicazione non è mai specificata, che venne distrutta da un nemico, descritto come un serpente, il cui assalto provocò un’inondazione che invase questo mondo.

Alcuni però fuggirono al disastro e si allontanarono sulle loro navi. I testi di Edfu ci dicono esplicitamente che essi erano in grado di “unirsi con il cielo”. Gli dèi costruttori, che plasmarono l’età primordiale, i signori della luce… gli spiriti, gli Antenati… che crearono i semi per gli dèi e gli uomini… gli Splendenti che nacquero al principio, che illuminarono questa terra quando giunsero uniti.”

Non dichiarono che questi esseri fossero immortali. Attraverso una catena di iniziazione e di conoscenza si tramandavano il sapere.

R.T. Rundle Clark, che fece uno studio approfondito sull’uccello fenice, riferisce che gli antichi egizi credevano in un’essenza vitale, la hike che era stata portata nella loro terra “da un’origine distante e magica, il luogo dalla luce eterna oltre i limiti del mondo, dove gli déi nacquero e da dove furono mandati nel mondo. La hike riempì il mondo di ciò che esso non conosceva”

Lo storico egiziano Ibn Abd El Hakem credeva che le piramidi fossero state costruite come luoghi per la custodia del sapere antidiluviano, e che includessero in particolare degli archivi di libri che contenevano “le scienze profonde, i nomi delle droghe, di loro usi e dei danni da esse provocati, e la scienza dell’astrologia, e aritmerica e geometria e medicina e tutto ciò che è e sarà gino alla gine dei tempi”

Hakem visse nel nono secolo d.C. e non poteva sapere nulla della metallurgia avanzata o della plastica, eppure dichiarò che tra i tesori ereditati dall’epoca prima del diluvio e nascosti nelle viscere delle piramidi vi erano “armi che non arrugginivano e vetro che poteva piegarsi, ma non si rompeva”.

Osiride era un grande re che offrì i doni della civiltà a coloro che furono disposti ad accettarli. Dopo aver allontanato le popolazioni indigene dell’Egitto dai loro modi barbari e miseri, insegnò loro a coltivare la terra, a seminare e a mietere il raccolto, formulò per loro un codice di leggi e spinse a venerare gli dèi e a compiere riti in loro onore. Quindi abbandonò l’Egitto e si mise a percorrere tutto il mondo insegnando alle varie nazioni a fare ciò che stavano facendo i suoi sudditi. Non costrinse nessuno a seguire i suoi ammaestramenti ma persuadendoli con gentilezza e facendo appello alla loro ragione riuscì a spingerli a mettere in pratica ciò che egli predicava.

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Nel 1966 Charles Hapgood, professore di storia della scienza, pubblicò un libro dal titolo “Maps of the ancient sea Kings”, in cui riteneva, provocando molto scalpore, di dover spostare molto più indietro nel tempo la nascita della civiltà, rimandandola in tempi non condivisi dalla storia ufficiale. Diceva che 12000 anni fa, quando ancora gran parte dell’umanità era ancora composta da cacciatori nomadi, intrepidi uomini di mare solcavano le acque dell’oceano.

Hapgood, studioso accreditato, affermò di esserne certo e che quella conclusione era il risultato di approfonditi studi eseguiti su mappe disponibili da secoli.

Una mappa sbalorditiva, del 1531, detta di Oronteus Finaeus, presentava la costa della terra della regina Maud e una catena di monti oggi sepolti dal ghiaccio, ma addirittura fiumi che scendevano nel mare. La datazione di questa mappa ha dell’incredibile. Riguarda il tempo di Alessandro Magno, nel quarto secolo a.C.

Eppure i carotaggi eseguiti nel 1949 dimostrano che il polo Sud era già ampiamente ricoperto di ghiaccio, quindi la mappa madre da cui questa è stata tratta doveva risalire molto tempo prima, vale a dire all’incirca al 4000 a.C.

L’uomo navigava quindi già più di seimila anni fa.

Questo fatto suggerisce come gli antichi cartografi fossero enormemente più avanti nella scienza della mappatura rispetto ai Greci.

Nel suo “I Vimana e le guerre degli dei” lo scrittore e documentarista Enrico Baccarini ricorda che il 19 gennaio del 2002, il sito della BBC pubblicava un articolo sconvolgente intitolato “Una città perduta può riscrivere la storia”.

Il riferimento coinvolgeva la scoperta di due città sommerse lungo le coste occidentali indiane, insediamenti umani ritrovati ad oltre 36 metri di profondità nel golfo di Cambay e databili a 9500 anni fa.

Autori della scoperta erano stati i geologi e gli oceanografi del National institute of ocean technology indiano, una struttura para-governativa deputata allo studio oceanografico delle coste indiane.

Fino al 2001 la città sommersa più antica era considerata Uruk, in Mesopotamia, un insediamento urbano fondato nel 3500 avanti Cristo dal mitologico re Gilgamesh protagonista del diluvio sumerico.

Dal punto di vista storico, invece la città più antica al mondo è ad oggi Gerico i cui primi insediamenti risalgono all’epipaleolitico (tra il 18 000 ed il 12 500 a.C.)

Nel caso indiano, però, la complessità e l’estensione delle rovine sommerse indicarono fin da subito  la presenza di una civiltà estremamente avanzata urbanisticamente: non si trattava di costruzioni erette dagli “uomini delle caverne” bensì di complesse strutture realizzate attraverso una sapiente pianificazione ed una oculata progettazione. Ritrovamenti di questo tipo non sono così rari come si potrebbe pensare. In tutto il mondo si annoverano migliaia di antiche costruzioni riscoperte nei fondali e lungo le antiche linee costiere. Come è possibile che una città possa essere stata sommersa dai flutti del mare? La spiegazione che l’archeologia e la paleoclimatologia ufficiali hanno fornito è forse la più semplice ed intuitiva. Questi conglomerati urbani si trovavano sulla terra ferma quando i livelli marini erano ovviamente più bassi rispetto a quelli odierni e l’unico periodo in cui tale situazione può essersi verificata è l’epoca che precedette  la fine dell’ultima Era Glaciale, proprio in un arco temporale compreso tra 12000 e 10000 anni fa.

Detto questo, una cosa è certa. L’esistenza, prima delle civiltà conosciute, di un’altra civiltà del tutto ignota, o quasi, con le prove raccolte oggi risulta ormai priva di alcun dubbio.

Erano forse loro i maestri della magia?

 

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