Recensioni: “Clericus – anime nere” di Francesco Battaglia

Dettagli

Titolo: Clericus – anime nere”

Autore: Francesco Battaglia

Editore: autopubblicato

Genere: High Fantasy

Pagine: 270

Prezzo: 16,50 Euro 

 

Sinossi

Un chierico tormentato.
Un’avventura come una discesa agli inferi.

Resuscitare i morti è possibile. O meglio, lo era per gli antichi sacerdoti della Dea Bianca, prima che il loro rituale di resurrezione naufragasse tra gli abissi del tempo.
Per riportare quel segreto alla luce e restituire la vita alla sua Griselda, il guaritore mascherato Malasorte è pronto a tutto, perfino a dannarsi l’anima, compiendo un sacrilegio dopo l’altro, al seguito di un trio di villains spietati.
Tra reliquie rubate, arcanisti non-morti e necropoli maledette, il marchio dell’eretico infanga già il suo nome, ma in fondo le maschere servono a questo, no?

Commento

Ci sono due modi fondamentali di approcciarsi alla lettura di Clericus. Quello che viene dall’essere stati giocatori di ruolo (e soprattutto di D&D) e quello invece nella quale questa componente è assente, sebbene, diciamocelo, accomuni in realtà molta parte dell’attuale generazione di lettori di narrativa fantasy.

A titolo personale, mi sono trovato in mezzo al guado. Provengo infatti dall’esperienza pluriennale dei pomeriggi e delle notti passate al tavolo fra schede e dadi, ma al contempo non ho mai amato la trasposizione letteraria degli stilemi del gioco di ruolo. Ho quindi cercato di leggere Clericus per quello che in fondo è: la storia di uno di noi, cui la sfortuna (non a caso il protagonista si chiama Malasorte) ha imposto di prendere decisioni importanti. E che diverse ne ha sbagliate, ritrovandosi di conseguenza a maledire tanto il destino quanto se stesso.

E’ infatti questa l’intelaiatura su cui si basa la trama del romanzo di Francesco Battaglia (qui su Hyperborea già noto per il suo L’aquila di Kos), che il lettore scopre soprattutto a forza di flashback, che illuminano il passato del protagonista mentre il presente, pian piano si srotola verso nuovi sviluppi. Malasorte è un consacrato a Safril, la potente dea bianca, eppure tradisce i suoi voti. Griselda, l’amore della sua vita (e il cui nome è omaggio alla figura omonima del Decameron), è morta. E dunque all’inferno tutto quanto. Se riportarla in vita tramite la magia è possibile, allora anche il prezzo di rubare il Manto del Vento – reliquia della dea – mentire e tradire se stessi diventa accettabile. In fondo basta patteggiare con un criminale d’alto rango (il tiranno di Castro), mettersi in gioco insieme a una banda di avventurieri dalla moralità altrettanto opinabile, e scordare di essere un uomo senza capacità, senza poteri se non la propria devozione verso la donna adorata e perduta. Ma il nostro chierico rinnegato non si chiamerebbe Malasorte, se tutto se ne filasse liscio via così…

Come si evince, per tornare all’inizio della disamina, di decisioni sbagliate l’antieroe di Battaglia ha occasione di prenderne molte, e non ci delude. Per un meccanismo empatico ben noto, è facile affezionarsi a chi inciampa, persino se questo dichiarato Orfeo fantasy lo merita. E dunque interessarsi a come il tutto andrà a finire; del resto, prendere all’amo il lettore in questo senso, è forse tra le qualità più importanti che una storia deve avere. Clericus questo punto lo segna.

Più ingannevole invece la dicitura dark fantasy con cui il romanzo si presenta. Se è vero che ricorre l’insistita descrizione dei tormenti di Malasorte e che un soprannaturale pauroso, venato di negromanzia, compare altrettanto di sovente, si tratta di elementi che tutto sommato, inseriti come sono in una cornice rodata come quella dell’immaginario high fantasy da cui proviene la dichiarata ascendenza a marchio D&D, mostrano uno smalto mai davvero pauroso o ambiguo. Del resto, Malasorte lotta per il suo amore, e questo stigma di purezza lo fa percepire come fondamentalmente buono in qualunque diabolico patto, o compresso si butti. Ciò non toglie, nondimeno, che abbondino efficaci descrizioni di orrori non morti, e di incantesimi realmente pericolosi. Inoltre, lo scenario che a poco a poco si delinea – anche in termini di profondità cronologica – come sfondo per il romanzo, è con tutta probabilità tra i più dettagliati che siano stati imbastiti per vicende simili. Un vero e proprio mondo secondario, in cui i nodi vengono al pettine in ragione anche di avvenimenti apparentemente dimenticati, come in fondo avviene davvero. Avrebbe giovato, volendo rilevare una menda, più approfondimento sulla mentalità specifica di questo universo altro. Se la comunanza di sentire propriamente umano ce lo rende comprensibile, la diversità con cui questo si esplica sarebbe stata suggestiva da osservare.

Un ultima nota riguardante la scrittura. Francesco Battaglia ha uno stile piano e scorrevole, dalla lettura facilissima, il che è un pregio importante, specie considerato che Clericus assomma oltre 300 pagine, e che quindi si giova di simili qualità, adatte a una narrazione piena di incisi temporali. Se dunque, come me, arriverete in scioltezza fino alla conclusione, credo non avrete difficoltà a concordare sul fatto di aver avuto fra le mani un lavoro piacevole e ben realizzato, frutto evidente di passione per una storia che trabocca reale coinvolgimento da parte del suo autore. Non dunque, un mero collage di influenze e topoi, ma la loro cosciente rielaborazione per un fine estetico. E’ quello che si dovrebbe sempre fare.

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