Recensioni: “Le Cronache di Arlen Vol. 1 – La Guerra di Rivalsa” di Giovanni Carmine Costabile

Dettagli

Titolo: “Le Cronache di Arlen vol.1 – La Guerra di Rivalsa

Autore: Giovanni Carmine Costabile

Editore: Phronesis Editore

Collana: I Decumani

Genere: highfantasy

Pagine: 455

Prezzo: 20 Euro 

Sinossi

Arlen. Il Regno di Arlen. Il Reame unificato più di tremila anni or sono dal leggendario Re Aemon il Conquistatore. E ora, una terra governata da un Re perennemente assente, rinchiuso dal suo stesso potere divino nella Terra dei Re, circondata dal cerchio di montagne note come l’Alta Muraglia, o le Mura del Re. Avvalendosi del suo ritiro, i nobili signorotti che governano le diverse Sovrintendenze che compongono Arlen bisticciano e si fanno la guerra tra loro da secoli, finendo per compromettere l’equilibrio dell’intero Regno. Eppure, quella che passò alla storia come la Guerra di Rivalsa non fu una scaramuccia qualsiasi, ma ebbe conseguenze di gran lunga al di là delle aspettative degli stessi contendenti… Anni dopo, il Regno nello sfacelo viene invaso dai barbari Qellar e, sfuggiti per un pelo alle loro grinfie, una mamma e due bambini si rifugiano in una grotta per udire la storia di come la sete di rivalsa di un uomo ha condannato alla rovina il reame millenario…

Commento

Per una lunghissima stagione, all’incirca tra gli anni ’60 e la fine degli ’80, il fantastico è stato in gran parte post tolkieniano. Nonostante quegli stessi decenni vedessero l’operato di capisaldi dello Sword&Sorcery come Karl E. Wagner o Michael Moorcock, e già contenessero in parte, per reazione, i semi del Grimdark, basterebbe un esempio per capire che tipo di egemonia ideale valesse allora sull’immaginario di molti autori che dalla lettura di Tolkien provenivano: La spada di Shannara, di Terry Brooks, miliare di quel tipo di narrativa ormai avviata a generare il vasto universo della highfantasy. Nel tempo, ovviamente, molti altri semi nascosti hanno cominciato a germinare e produrre frutto, ma almeno in Italia, la ricezione di questi è stata lenta e attuata soprattutto a livello di fandom. Chi fosse entrato in libreria ancora nei primi anni 2000, al di là di specifiche novità destinate a un grande avvenire sempre in termini di influenza (chi ha detto Martin?) avrebbe avuto davanti un mondo ancora orgogliosamente di derivazione tolkieniana, sia come titoli stranieri che come fenomeni (sovente opinabili) nostrani.

Questo lungo preambolo serve a inquadrare con precisione un romanzo come quello di Costabile, non a caso il primo di una trilogia, secondo una impostazione che discende per l’appunto dal trittico de Il Signore degli Anelli. Di più: l’autore è proprio uno studioso tolkieniano, saggista che ha dedicato numerosi lavori all’approfondimento non banale di diversi aspetti della narrativa (e non solo) del professore oxoniense, e che dunque, per dirla in poche parole, “Tolkien lo ha nel sangue”.
Ecco perché il lettore non si stupirà di trovare in Le Cronache di Arlen l’ombra preminente di quest’illustre maestro, da cui Costabile fa derivare molteplici aspetti della propria personale ispirazione. E non si parla solo di aspetti superficiali – la toponomastica, l’inclinazione estetizzante verso l’eufemismo – magari comuni a troppi epigoni banalmente scolastici, bensì un vero e proprio afflato drammatico, oltre alla sensazione di un lento intessersi di un arazzo antico, fatto di vicende eroiche, talvolta tragiche, talaltra aggraziate, che si avviano a un crescendo guerresco che mostra al lettore le disgrazie del regno di Arlen. E’ anche in questo che Le Cronache… si rivelano figlie di quell’highfantasy di cui si è accennato all’inizio, ovvero nella tendenza a ricreare e srotolare in maniera quasi visuale la mappa di un mondo immaginario descritto in tutti i suoi aspetti più importanti, e che nell’abbondanza di dettaglio inserisce le sue radici, sostenendo così il palcoscenico dei grandi movimenti di eroi sfortunati che lì recitano. Espressione materiale di ciò è la scrittura di Costabile: cadenzata, rifinita, tendente a far rimirare le immagini non in movimento, ma una alla volta, come bozzetti di una sequenza antica di sapore medievale, quasi una “sacra rappresentazione”.


Se questa è per certo la caratteristica più personale del romanzo e cifra dell’autore – e quindi pregio, in quanto dimostrazione di avvenuta elaborazione delle tante influenze, non riproposizione in chiave necessariamente manierista – può rivelarsi almeno per parte dei lettori il suo limite, nella misura in cui questa fetta di pubblico ha interiorizzato un certo rigetto per l’immaginario highfantasy classico, pregiudizialmente ritenuto incapace di proporre una narrativa adulta (aggettivo il cui significato condiviso è come l’araba fenice). Ecco perché se in sede di giudizio personale Le Cronache di Arlen va promosso come primo mattone di una saga che promette ulteriori soddisfazioni, nel proporlo all’attenzione dei lettori è necessario fare appello a quello di gusto forse più aperto, non irrimediabilmente sedotto dai dogmi di una scrittura scheletrica e un cinismo ostentato di stampo adolescenziale.

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