Se credete a questo, cercatevi uno psichiatra (II)

A grande richiesta, la seconda parte di “Se credete a questo, cercatevi uno psichiatra”, articolo di Davide Mana, apparso su Strategie Evolutive alcuni anni or sono.


Bene, secondo post ipotetico nella serie che prende il titolo da una frase in un bell’articolo di M. John Harrison che vi invito a leggere (il link è nel post precedente).
Scopo di questa serie di pezzi… ah, giusto!

Avendo letto un bel po’ di commenti qui, su alcuni forum e su faceBook, credo sia indispensabile una puntualizzazione:

qui non stiamo combattendo una guerra

Con questo voglio dire che nel momento in cui scrivo che intendo ridimensionare Martin non intendo dire che coltivo il malsano proposito di ammanettare Martin a un termosifone e poi percuoterlo sulla pianta dei piedi con un manganello.Se vi sembra una guerra, se vorreste che fosse una guerra, se credete che il confronto dualistico e frontale sia la sola soluzione possibile, beh, questo non è il posto per voi.
Non è un problema per me, e credo non lo sia neanche per voi, ammetterlo.
Se d’altra parte vi scoccia a morte che sia una guerra, beh, consolatevi, non lo è.
Non qui, non adesso.
Non lo è negli intenti, nel linguaggio, nelle aspettative.

Significa solo che vorrei metterlo in prospettiva.
Vi piace di più, così?
Allo stesso modo, quando cito Gronk il Barbaro e la sua propensione per la spaccatura dei crani altrui, o quando cito il vagamente gaelico Borlamir e la sua quest, non intendo parlare di autori e personaggi specifici, ma di cliché usati nel peggiore dei modi possibili.

Il che mi riporta allo scopo di questi post, che sarebbe quello di togliere un po’ di polvere a dei titoli che sono stati dimenticati – ed è un peccato, perché erano facilmente disponibili una ventina d’anni or sono, o se leggete in originale, lo sono ancora, e aggiungono materiale al genere, lo rendono sfaccettato, interessante.
Questo non per fare a gara a chi sia meglio – l’abbiamo detto, non è una guerra – ma per sviluppare un vocabolario di opzioni che ci permetta di parlare del genere che sosteniamo di apprezzare senza ridurci ai monosillabi.
Per cercare di riformare un gusto.
Poi ciascuno si crea le proprie gerarchie, che cambiano nel tempo.
È la vita.

Il primo post elencava alcuni romanzi che, io credo, potrebbero piacere a chi di solito non bazzica il genere, mostrando intanto che non ci sono solo due formule fisse (e anche quando si parla di Re Artù in Powers, spiacente, non è il Re Artù di vostro padre).

Oggi vediamo di ampliare il panorama con qualche titolo che ribalti un paio di aspettative – tanto per negare che il fantasy sia solo letteratura consolatoria, ad esempio.

Il Pozzo dell’Unicorno, che da noi Mondadori maltrattò malamente, è 206949-lprobabilmente il fantasy più noto di Fletcher Pratt, il socio di tante uscite comiche di Lyon Sprague de Camp. E non ha nulla di comico. Si tratta di un romanzo stand-alone, per quanto ispirato ad un vecchio racconto di Lord Dunsany. Nella terra di Dalarna la popolazione è in rivolta contro i feudatari imposti dall’impero (toccava pagarli, i mercenari). Airar Alvarson, che a pagina uno ha perso tutto (casa, famiglia, posizione sociale) rimane invischiato nella rivolta – da frastornato capo di una banda di arcieri a riluttante comandante di una compagnia sempre più temuta di ribelli. Ostaggi, alleati, traditori… è possibile riunirsi e combattere per la libertà, senza perderla? E se ci venisse offerta l’opzione di dimenticare tutto e tornare ad una vita tranquilla?
Scritto con un linguaggio (volutamente) piuttosto qualunque, Well of the Unicorn offre alcuni personaggi memorabili ed un finale tutt’altro che consolatorio.
Uno di quei fantasy che parlano di responsabilità.

Non dovrei citare questo titolo, ma lo cito ugualmente: Le Spade di Lankhmar, diswords-of-lankhmar-jeff-jones-cover Fritz Leiber.
L’unico romanzo dedicato alle imprese di Fafhrd e del Gray Mouser non è probabilmente il punto più alto toccato dalla serie, ma che diamine, si lascia leggere maledettamente e no, è inutile, non è come ciò che avete letto finora.
La città di Lankhmar ha un problema di topi.
E di approvvigionamenti.
Il romanzo di Leiber è fantastico per amore del fantastico, ha un linguaggio inarrivabile, è pieno di azione e di cover140711_06trovate e vi spiazzerà almeno tre volte – ed è vero, nei romanzi per bene certe cose non capitano (un tipo in che parla in tedesco in groppa ad un drago a due teste? ma dai…! E con un casco da astronauta?!), ma attenzione – non è perché Swords of Lankhmar sia “sbagliato”… è semplicemente che gli autori che son venuti dopo (e parecchi di quelli che son venuti prima), non hanno avuto il coraggio di Leiber.
Né nessun’altra delle sue qualità.
E rimane un romanzo così… significativo!
(ve l’avevo detto che non ne volevo parlare… ora mi direte che sono parziale)
Lo pubblicò la Nord nella Fantacollana, e poi lo ristampo’ su carta da pizza – buona caccia.

La Foresta dei Mythago, di Robert Holdstock, anch’esso variamente tradotto da9780575086579Mondadori, si riallaccia alle considerazioni sulla natura del mondo immaginario in Tolkien, ma gestisce la cosa in maniera relativamente originale. Vi sono luoghi, sulla superficie del pianeta, in cui le memorie ancestrali e l’inconscio collettivo possono generare manifestazioni reali. La foresta di Ryhope è uno di questi luoghi… e Stephen Huxley sta per scoprire un sacco di cose.
Con forti riferimenti al folklore anglosassone, alla psicologia jungiana ed alla storia, la serie dei Mythago è un gran bel leggere, che non subordina l’azione al sense of wonder, o viceversa.
Un gran bellibro, che non merita l’oblio al quale pare sia stato destinato.

E qui veniamo veramente all’archeologia avventurosa… vero e proprio territorio difionavarIndiana Jones: la serie di Fionavar, di Guy Gavriel Key, venne tradotto in italiano da Sperling nella prima metà degli anni ’90.
Il che potrebbe lasciarci freddini, se ci scordassimo che Guy Gavriel Key è l’uomo che ha scritto il Silmarillion (qui i tolkienoidi si imbizzarriscono)… no, ok, è quello che è stato incaricato da Christopher Tolkien di riorganizzare gli appunti del padre e pubblicarli come Il Silmarillion.
Fionavar batte un terreno più pop, trasportando cinque studenti canadesi nel Mondo Primario (sensu Tolkien), ed obbligandoli ad inserirsi nei meccanismi mitici che il mondo prevede.
Fionavar (e il Silmarillion) gettano un’ombra lunga sull’opera del canadese Key – del quale probabilmente preferisco Tigana o A Song for Arbonne – che comunque associa sempre ad un solido world-building una buona caratterizzaziobne dei propri personaggi.
Pare che i tre volumi Sperling si trovino su eBay…

Di Glen Cook, autore notevolissimo che alcuni chiamano “il padrino della sword &la-torre-di-tenebra-glen-cook-l-wdiefusorcery”, in Italia mi risulta tradotto solo La Torre di Tenebra, che è un fantasy minore, nel quale tuttavia molti degli elementi caratteristici dell’autore americano sono già evidenti – complicati intrighi politici, una rappresentazione della guerra priva di ogni romanticismo o retorica, personaggi abbozzati rapidamente ma nonostante questo soddisfacenti.
Il malefico stregone Nakar è stato sconfitto, e la città sulla quale regnava è ora una città occupata.
Chi sono i buoni, chi sono i cattivi? È possibile tbcdistinguere? E Nakar, è morto davvero?
Vista la difficile reperibilità del tomo, chi fosse interessato all’opera di Cook potrebbe raccattare in originale titoli più soddisfacenti – la prima trilogia della Black Company, ad esempio, o la prima trilogia del Dread Empire.
Molto diverso dall’high fantasy tradizionale, spesso paragonato a Full Metal Jacket.
Per quelli a cui piace Steven Erickson (che fino a cinque anni fa era il prezzemolo del fantasy, ed ora nessuno più sembra ricordarlo).

In Italiano Beauty, di Shery S. Tepper non l’hanno mai pubblicato, che io sappia. Nel romanzo la Bella Addormentata schiva la maledizione del fuso, visita il futuro,beauty visita Faerie, diventa la madre di Biancaneve e la nonna di Alice, affronta l’Oscurità, e capisce fin troppo bene quali siano le regole del gioco.
Ma la Tepper è più interessata all’idea di Bellezza come fonte di salvezza, ed agli abusi ai quali la Bellezza (in ogni sua forma) pare essere frequentemente sottoposta. Cattivissimo con i produttori ed i fan del cinema horror, Beauty è un romanzo fin troppo esuberante e, scritto nel 1991, il romanzo comincia forse a risentire dei suoi anni, ma è ancora leggibilissimo.
Nessuno vive per sempre felice e contento, in questo libro – e il lettore resta con un sacco di dubbi, ma forse un pochino più saggio.

E per oggi chudo qui, che da leggere ne abbiamo già abbastanza.
Al prossimo giro mi piacerebbe toccare certi sotto-sotto-sotto generi, così, tanto per farmi odiare ancora un po’.

Davide Mana

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