Sguardi altri su Robert E. Howard

Il nuovo numero di Zothique approfondisce numerosi aspetti della personalità e dell’opera del gigante buono di Cross Plains, offrendoci un rinnovato ritratto di un autore immortale.

 Now the magic dust I toss,
Men are shadows, life is dross.

R. E. Howard, Runes

Qualche mese fa è uscito il primo speciale di Zothique, la rivista di cultura fantastica curata da Pietro Guarriello, dedicato a Robert Ervin Howard. Da qualche settimana è disponibile il secondo numero interamente incentrato sul bardo di Cross Plains e rivolto alla memoria del monumentale Giuseppe Lippi. È la seconda tappa di un affascinante percorso alla scoperta di una personalità tanto eroica quanto fragile, che ha abbandonato il nostro mondo prima del tempo. In questo volume, dalla forma divulgativa ma dal contenuto specialistico, vengono indagate tematiche solamente sfiorate o neanche accennate nel precedente.

Mariateresa Botta apre le danze con una contestualizzazione della vita e dell’opera di Howard, necessaria per rendere fruibili gli altri contributi anche ai lettori più inesperti:

Nei propri scritti egli riversava tutti i colossali paradossi del mondo che lo circondava, lottando a propria volta contro quella percezione di ineluttabile entropia tanto quanto facevano i suoi personaggi […]. La lotta per l’affermazione dei livelli più profondi dell’anima, per la sopravvivenza dell’io a fronte di un’impossibile vittoria. Combattere non per vincere, ma per “vendere cara la propria morte”, dimostrando in questo modo di aver vissuto appieno ogni attimo, di aver rubato ogni respiro con le unghie e con i denti, di essere realmente esistiti!  

            Nella seconda parte del suo saggio, Botta presenta i principali personaggi femminili dei racconti howardiani, riconoscendo all’autore il merito di aver introdotto donne forti e carismatiche, di contro ai ruoli marginali e bidimensionali a cui erano solitamente rilegate. Ricordiamo la rinnegata mezzosangue Atla, la vampira Akivasha, la piratessa Belit, la veggente Eevin di Craglea, le mercenarie Red Sonya e Valeria, tutti esempi che evocano «la simpatia, il coraggio e il rispetto con il quale ha regalato un ruolo di rilievo alle donne nella narrativa fantastica».

            Giovanni Valenzano indaga il rapporto di Howard con i licantropi. Un legame ancestrale, segnato dalla paura, di cui Robert Ervin si fa portatore fin da giovanissimo. Ad appena diciannove anni, infatti, pubblica il ciclo di De Montour, composto dai racconti In The Forest of Villefere e Wolfshead, sulla rivista Weird Tales, divenendo tra i primi a confrontarsi con la licantropia su quelle celebri pagine. Valenzano riporta una serie di difetti, contenutistici e stilistici, presenti in queste storie, ma sottolinea come: «Anche se in forma embrionale, lo stile howardiano di stampo cinematografico è riconoscibile da subito nella frenesia e nella ricca dose di suggestioni che hanno reso speciali gli scritti di questo autore». Lo stesso H. P. Lovecraft, in una lettera a E. Hoffmann Price scritta poco dopo la morte di Howard, ricorda come avesse iniziato a considerare il loro amico comune «un maestro in ascesa una decade fa, quando […] lessi Wolfshead».

            In Barbari e Malefici, Andrea Gualchierotti ci guida tra i riferimenti ai maghi della classicità nel ciclo di Conan. Da sapiente conoscitore del mondo greco-romano e dopo aver rimarcato l’eterogeneità delle caratteristiche magiche in quelle civiltà, Gualchierotti individua numerosi rimandi nei racconti del Cimmero, tra cui La torre dell’elefante, Il dio nell’urna e La cittadella scarlatta. Nel corso della trattazione, l’autore si interroga sulle fonti utilizzate da Howard e sulla sua effettiva volontà – mai rivelata esplicitamente – di riferirsi a quel contesto, concludendo come:

Il quadro che ne emerge è quindi quello di stregoni che dalla classicità prendono in prestito il meglio di quanto quella cultura legava al meraviglioso: esotismo, mistero, legame con un passato già allora antico e insondabile. Altresì, troviamo la conferma di come Howard – al pari dei suoi colleghi e amici C. A. Smith e H. P. Lovecraft – abbia in più di un caso scelto di dare alla magia una connotazione non meramente strumentale o “fantastica”, e ne abbia aumentato la potenza meravigliosa e assieme il realismo proprio ricalcandola sugli antichi modelli greco romani.

Anche in questo numero continua la peregrinazione spirituale di Mariano D’Anza rivolta alle poesie scelte del bardo, permettendoci di leggere i versi howardiani in stretta connessione con i loro riferimenti biografici e culturali. In questo modo la poesia si presenta come la manifestazione dello spirito dell’autore, disseminato in numerose tracce. Dal diabolismo di Red Thunder, derivato dalla credenza in un’intelligenza di tipo maligno ereditata da William Blake e dallo gnosticismo, ai perturbanti rimandi dai tratti macheniani al popolo delle colline di Song of the Pict e Runes, per arrivare Recompense, definito da D’Anza il vero e proprio testamento estetico dello scrittore texano:

I have not seen the face of Pan, nor mocked the Dryad’s haste,

But I have trailed a dark-eyed Man across a windy waste.

I have not dies as men may die, nor sin as men have sinned,

But I have reached a misty sky upon a granite wind.

                Come di consueto, i saggi più estesi sono intervallati da numerosi contributi. Tra i racconti inediti, i bozzetti di vari testi incompiuti e la bibliografia delle opere howardiane minori a cura di Giovanni Valenzano, in questo caso spicca l’approfondimento del film Il mondo intero (1996) di Dan Ireland, che narra la storia d’amore (mancata) tra R. E. Howard e Novalyne Price, «l’insegnante di lettere – ricorda Michele Tetro – che gli fu molto vicina per un certo periodo della sua vita e che sarebbe potuta arrivare ad essere addirittura la sua fidanzata». Guarriello riporta le interessanti interviste ai protagonisti del film, da cui emergono profonde attestazioni di stima, ma anche la percezione di avere a che fare con un emarginato, un recluso confinato nella sua testa. La tragica vicenda di Robert Ervin è nota e indubbiamente influisce sulla ricezione delle sue creazioni. Proprio in relazione a questi universi altri, però, la debolezza terrena diviene un elemento marginale di un tragitto eroico percorso nell’eternità:  

E donne-serpente mi allettano con l’arpa e con me giacciono.                                                                               

Le onde vaporose vibrano sotto i rami spettrali.                                                                                                     

Non mi cercate: navigo incontro al giorno.

Robert E. Howard, Il cantore delle nebbie

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