Recensioni: “Malpertuis” di Jean Ray

Dettagli

Titolo: “Malpertuis

Autore: Jean Ray

Editore: Alcatraz

Collana: Bizarre

Genere: weird

Pagine: 277

Prezzo: 15 Euro

Sinossi

“Malpertuis. Una magione senza tempo ai margini di un misterioso villaggio immerso nel cuore più cupo delle Fiandre. Una dimora austera, imponente e al tempo stesso mutabile, come fosse viva e dotata di un’anima propria. E poi ci sono i suoi abitanti, costretti a non poter mai abbandonare quelle mura per via di una cospicua eredità che spetterà a chi, tra loro, sopravvivrà agli altri. Ma in Malpertuis niente è ciò che sembra, e se questo vale per la casa stessa, è ancor più vero per i suoi bizzarri inquilini…”

Commento

Che libro!

È stato il primo pensiero non appena terminata la lettura di questo classico del weird che ho, colpevolmente, recuperato solo ora.

E di classico davvero si tratta perché, come anticipato da Valerio Evangelisti nella sua prefazione al romanzo, Malpertuis è l’acme di tutto quanto si può considerare weird, nella sua accezione più pura di straniante, sospeso e inquietante. Per ognuno di questi aggettivi, il libro di Jean Ray offre un piatto ricchissimo e approfondito, sia a livello di sensazioni sia di struttura narrativa.

Ma andiamo con ordine.

Jean Ray è un prolifico autore belga, vissuto nella prima metà del novecento, la cui biografia è già di per sé piuttosto pittoresca e ricca di aneddoti: dagli anni passati in carcere per appropriazione indebita mentre lavorava come impiegato comunale, dalle fantasiose storie che lui stesso creò ad arte intorno alla sua persona, fino alla sua attività di traduttore e, quasi subito, adattatore ribelle delle avventure del celebre detective Harry Dickson, uno spurio Sherlock Holmes tedesco, che Ray riteneva scritte in modo scialbo e che si prese la libertà di riscrivere da cima a fondo dando loro un tono decisamente più soprannaturale.

Malpertuis è considerato il suo capolavoro e, se non lo conoscete, vi consiglio di recuperarlo e leggerlo senza farvi anticipare niente da nessuno e senza fare ricerche sulla trama o altro (ne fu tratto anche un film nel 1971). Io ho avuto la fortuna di avventurarmici senza saperne nulla, e questo ha contribuito enormemente al godimento della storia e dei suoi colpi di scena. Io stesso eviterò con cura di rovinare il gusto della lettura con sgradite anticipazioni e mi limiterò a tratteggiarne i caratteri salienti, sperando di restituire un briciolo della contorta magia che l’autore è riuscito a creare.

Lo spunto è quantomai classico: il libro si apre con un incipit di colui il quale, dopo un furto, si è trovato in possesso non di uno bensì di quattro manoscritti, ad opera di quattro persone diverse. La voce narrante ha trascorso molto tempo nel cercare di mettere ordine e dare un senso alle innumerevoli pagine ritrovate e ciò che noi ora teniamo in mano è il frutto del suo lavoro. Anche così risulta piuttosto ostico trovare il bandolo della matassa nei vari capitoli che si susseguono uno dopo l’altro, se non per il ripresentarsi di certi personaggi e per il fatto che tutto ruoti attorno alla magione denominata Malpertuis, il “malpertugio”.

Come già anticipato nella seconda di copertina, sono proprio i personaggi a colpire il lettore: magnificamente descritti e tratteggiati eppure, al contempo, insoliti, strani e quantomai inquietanti. Così come inquietante è l’atmosfera che permea tutto il libro, a maggior ragione perché certe cose apparentemente assurde vengono accettate e date come elementi connaturati alla realtà da coloro che ci vivono. In una sorta di gioco che potrebbe per certi versi richiamare un romanzo di Agatha Christie, i personaggi che popolano la casa di Malpertuis sono costretti a una convivenza forzata e, attraverso dialoghi sibillini ed eventi spesso inspiegabili, mostrano di nascondere segreti inconfessabili e di avere legami occulti con quanto sta accadendo attorno a loro. Una delle voci narranti principali è, per l’appunto, il più giovane degli inquilini della sinistra residenza, il quale cercherà di sollevare il velo che nasconde la verità, in un crescendo di terrore e di straniamento.

E, fra le altre, straniamento è la parola che più si addice al romanzo di Jean Ray, perché per tutto il tempo ci si ritrova sballottati in una sequela di avvenimenti apparentemente slegati e incomprensibili e che pure, alla fine, si riveleranno interconnessi con una precisione, oserei dire con una dettagliata perfezione, che raramente mi è capitato di osservare in altre opere simili e non. Questa risoluzione/svelamento è talmente efficace che non toglie un’oncia di fascino a Malpertuis, anzi rende ancora più apprezzabile l’abilità di Jean Ray nell’intessere un arazzo così originale e complesso. Qualche eco o similitudine la rintraccerei forse nell’altrettanto affascinante Piranesi, di Susanna Clarke, per quanto si tratti di due testi molto diversi e per stile e per impostazione.

Già, lo stile: ecco un altro aspetto intrigante di Malpertuis. La prosa di Jean Ray è schietta, quasi “sbarazzina”. Certamente moderna nel suo essere veloce e spiazzante, eppure non priva di ricercatezza; un uso sapiente delle parole contribuisce a ricreare quella sorta di sulfureo misticismo che pervade ogni pagina. Ed è sorprendente notare come certe scene più prettamente orrorifiche non abbiano perso una briciola di efficacia e risultino, in una certa misura, spaventose ancora oggi, con il loro taglio quasi cinematografico, tale è l’abilità di Ray di descrivere minuziosamente la soggettiva di ciò che i protagonisti vedono. L’immersione è totale, così come totale è il senso di smarrimento di fronte a vicende che, a volte, si intuisce abbiano una recondita logica di fondo ma che risultano inafferrabili.

Le qualità di un romanzo come Malpertuis sono innumerevoli, in primis il suo essere così singolare e atipico; in secondo luogo il fatto che rimanga, anche a distanza di ottant’anni, un libro godibilissimo e appassionante, senza tempo. Un plauso alle edizioni Alcatraz e alla traduzione di Luca Fassina. Straconsigliato!

Alla prossima!

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