Recensione: Darkest Dungeon

STORIA

Il giocatore riceve una lettera scritta da”l’Antenato”, un parente mai conosciuto, il quale ci informa come, per sbaglio, abbia scatenato un potere inimmaginabile che sta corrompendo la tenuta, il villaggio vicino, e sta mettendo su radici e frutti maligni. L’Antenato, disperato e sulla soglia della follia, ci affida l’ingrato compito di ricacciare il Male da dove è venuto e riabilitare il nome della famiglia.

Una premessa semplice ma molto efficace per trascinare il giocatore in una avventura che lo metterà a dura prova, fisicamente e mentalmente.

Lovecraft scorre potente in questo ammasso di pixel e linguaggio macchina!

MECCANICHE DI GIOCO

Darkest Dungeon è un roguelike a turni con i livelli generati proceduralmente (cioè livelli che cambiano ad ogni partita e col proseguire della nostra avventura).

Gran parte del nostro tempo verrà speso all’interno di un inestricabile labirinto tetro e soffocante, illuminato solo dalle nostre torce (che si consumeranno), ma ricco di trappole e tesori che potremo condividere con la nostra truppa (per un totale di 4 eroi, ognuno con la sua classe che funziona adeguatamente solo quando occupa un certo posto nel gruppo); talvolta potremo anche imbatterci in reliquie e vecchi tomi che ci riveleranno nuovi retroscena sulla oscura faccenda nella tenuta de “L’Antenato”.

Nel villaggio invece avremo modo di prenderci cura dei nostri eroi: aggiornando l’equipaggiamento, controllando la quantità di risorse a nostra disposizione (torce e cibo su tutti), assoldando nuovi sciagurati che ci seguano nell’avventura, e abbassando il livello di stress di quelli appena usciti da una brutta esperienza.

La sanità mentale è infatti la variabile impazzita che saremo obbligati a gestire per evitare una strage del gruppo. Esempio un nostro compagno viene colpito troppe volte: cambia di posizione portando squilibri nel nostro sistema, oppure rifiuta le cure e cerca di farsi ammazzare, o magari corrode la sanità mentale degli altri colleghi, o ancora gli viene un attacco di cuore e ci lascia in difficoltà.

Le due espansioni (The Crimson Court, The Shieldbreaker) aggiungono solo nuovi nemici, una nuova classe e nuove ambientazioni.

COMPARTO TECNICO E SONORO

La direzione artistica è assai ispirata: prende spunto da Mike Mignola e Jakub Rebelka per la stilizzazione delle figure e lo mescola con l’orrore d’annata di Harry Clarke e Lee Brown Coye dove i neri soffocano e i volti sono una ruga di terrore.

Il comparto audio contribuisce a creare e mantenere quella atmosfera soffocante, sofferta e oscura che permea il titolo dei Red Hook Studios (che ricorda il nome di un racconto di Lovecraft, L’Orrore a Red Hook).

COMMENTO FINALE

Un titolo divertente, difficile, con una direzione artistica e musicale fantastica. Se poi siete dei fanatici folli dello scrittore di Providence è obbligatorio giocarlo!

Tanto che ci sono, come faccio da un po’, consiglio un’altra bella infornata di titoli che spero possano interessarvi come il qui presente Darkest Dungeon: (rigorosamente in ordine sparso), Vambrace Cold Soul, Vagrus The Riven Realms, Slay the Spire, Battle Chasers Nightwar, Mad Crown, Mistover, Alder’s Blood, Knights of Pen and Paper.

Se invece state cercando la stessa atmosfera macabra e malata tipicamente lovecraftiana in videogiochi di altro genere consiglio: Blasphemous, Bloodborne (capitan ovvio) e Salt&Sanctuary.

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